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Peschici: per un picchetto di felicità

3/3/2014

3 Comments

 
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Saranno stati sessanta gradi. Forse settanta. Di certo l’aria, quella mattina, era rarefatta. Il sole, entrava dalle fessure e si andava a posare, o meglio a spiaccicare, proprio lì, sul tuo volto. Dolce e invadente, di sicuro prepotente. Ti giri dalla parte opposta, con un movimento acrobatico inverti la posizione della testa con quella dei piedi. Assaggi un sorso d’ombra finché l’istinto di sopravvivenza ti costringe ad uscire da quella tenda. Ti stiracchi, guardi i volti dei tuoi amici, cerchi una giustificazione convincente. Che non trovi.
“Ma come cazzo farai a dormire la dentro? Ti avrei svegliato a pugni per il nervoso”
“Che ore sono?” chiedi con innocenza, eludendo la risposta.
“Le undici e mezza. E io sono sveglio dalle 7” risponde Francesco.
“Mattutino”
“Coglione” non alza nemmeno lo sguardo, intento com’è a inzuppare biscotti nel latteecaffè. 
“Ho provato a resistere, ma l’aria là dentro è rarefatta, tu non sei umano”.
“Vado a farmi una doccia”.
Ogni anno la stessa storia: il sole non si sposta mai da lì. Se c’è una cosa di cui puoi andare certo è che se vai nello stesso posto per cinque anni di fila il sole sorgerà alla stessa ora, nello stesso punto e con la stessa intensità dell’anno precedente. E altresì che voi, campeggiatori improvvisati (e sì, perché improvvisati si nasce), monterete una tenda nel punto più assolato del globo. Ritorni assonnato e bagnato, ma già fresco, pronto per sentire l’ebbrezza di una nuova giornata. 
“Dovremmo spostare la tenda” quello di Francesco sembra un ordine, più che un consiglio.
“Magari più tardi, andiamo a mare prima”
“Non torneremo mai e stasera non ci sarà il sole”
“Tra un paio d’ore torniamo. Promesso”
Sembri aver convinto Francesco, un po’ meno te. Imbracci la chitarra e ti avvii verso la spiaggia. Ognuno di voi porta qualcosa con sé: chi un pallone, chi uno strumento musicale, chi una bottiglia di Peroni. Le ragazze vi guardano, magari per via di accessori discutibili. A sinistra c’è l’accampamento dei tedeschi, a destra quello dei polacchi, una ragazzina ti sorride e stasera le chiederai di ballare con te. Se solo riuscissi a strapparle un bacio. Pensieri pudici, in fondo. Davanti a te le case bianche di Peschici. La bellezza, un po’ tracotante, di una città affacciata sul mare. Non vi dite niente, perché non c’è bisogno di dire nulla davanti a tanto fascino. Ti lasci sedurre dai tornanti che dal mare portano in paese. Li hai percorsi in macchina e a piedi, salite e discese, cosa non si fa per una ragazza. Hai venti anni e nulla può intaccare la tua felicità. Non in quel posto almeno. Non al Parco degli Ulivi. Non a Peschici. Per arrivare in spiaggia devi attraversare la strada e passare attraverso un sentiero polveroso e assolato, ma il caldo è solo l’ultimo gradito ostacolo, quello che rende ancora più bello il primo tuffo
della giornata. E il desiderio di accelerare il passo verso il mare cresce. Occupate uno spazio a caso. Niente ombrelloni, niente sedie, niente lettini. Qualcuno non tira fuori neanche il telo dallo zaino. Il vostro paradiso è fatto di baci rubati e labbra salate. Di palloni e pallonate, di panini farciti fino all’impossibile.
Prosciutto, provolone, melanzane e pomodori secchi sott’olio del Gargano, grazie. Posi la chitarra sulla sabbia come un moderno Re Artù, controlli che l’accordatura sia a posto passando le dita sul capotasto misisolrelami e via, correndo, verso l’acqua. Uno, due, tre balzi sicuri, poi lasciare che siano le onde a farti inciampare dolcemente sull’onda che arriva. L’acqua non è fredda, ti protegge e ti accoglie; ti rassicura come quelle case bianche sulla destra. Sollevi la testa e la giri in direzione  di posti conosciuti: la pizzeria La Vampa, Derby, il vicolo che porta da Mario, l’enoteca degli artisti. Decidi in quel preciso momento che Peschici sarà il tuo posto nel mondo, quello dove un giorno comprerai una casa. Lo prometti ben sapendo che le promesse valgono anche a vent’anni. Chiudi gli occhi e ti lasci accarezzare da quel vento così cortese. Pensi, e ne sei sicuro, che il clima perfetto esista. Non nella tua tenda ovviamente. 
“Te la senti” chiedi, ancora bagnato, a Francesco.
“No, ma non mi sveglio anche domani alle sette per colpa tua”.
“Veramente sei stato tu a dire di montarla lì perché stavolta eri sicuro, Copernico”
“E sì, perché tanto a te che te ne frega, tu dormi pure sui chianconi”
Ripercorrete il sentiero, stavolta con le case bianche a sinistra e gli ulivi a destra. Cercate di portare i vostri pensieri all’ombra prima di arrivare nel punto più torrido del campeggio: la vostra piazzola. Smontate la tenda con la sicurezza di chi dovrebbe poi rimontarla con la stessa autorevolezza da campeggiatore esperto. E invece no: un ferro di troppo, un laccio legato male e un picchetto che non ne vuole proprio sapere di andare giù nel terreno. Inizi a martellare tirando i fili di quella che sarebbe stata la vostra casa per le successive due settimane. Un picchetto qua, un altro là, un sorriso ad una bella straniera, una bestemmia al faidate. Dovevate metterci mezz’ora, se ne vanno tre ore. E avanzano sempre un picchetto e un bastone di ferro, chissà perché. 
“Saranno di riserva” dice Francesco per liquidare la questione
“Sì, sarà così” lo assecondi, ben sapendo che nessuno mette dei ferri e dei picchetti di riserva nelle tende. Ma Peschici è lì che vi guarda e vi aspetta per raccontarvi un’altra storia. Lasciate il martello per terra e riprendete la strada per il mare. Il giorno è ancora lungo e la felicità è lì, a pochi metri da voi. Pensi a come sarebbe bello se avanzasse anche un po’ di questa felicità. Quella dei tuoi vent’anni a Peschici. 

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CRISTIANO CARRIERO
cristianocarriero.me


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3 Comments
Domenico Antonacci link
3/17/2014 10:39:17 pm

Ciao, fantastico racconto. Posso pubblicarne una parte su amaraterra.com linkando per la lettura completa a questo blog?! Grazie

Reply
Cristiano link
3/26/2014 01:24:31 am

Ma certo! Ci mandi il link poi? Grazie:)

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Domenico Antonacci link
3/26/2014 01:33:28 am

sicuro!

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