Poeta. Non è che un giorno ti svegli e dici “papà, voglio fare il poeta!”. Non è proprio come dire “papà, voglio fare il falegname, l’astronauta, il pensionato, il pompiere!”. No. Non è che accade così. Anche perché tuo padre t’avrebbe risposto “che cazzo dici, figlio! Questa città, San Severo, non è fatta per i poeti! O diventi ladro o diventi avvocato. O diventi un avvocato che entra in politica così provi a fare tutte e due le cose senza fartene accorgere!”. No. Non funziona proprio così. Anche perché a San Severo c’è un avvocato ogni 5 abitanti e non tutti sono delinquenti. È sempre tutto abbastanza complesso. No, non funziona così. E infatti forse funziona che prendi i tuoi sensi e parlo di olfatto, palato, tatto, udito, vista, ci aggiungi un’anima dannatamente condannata alla malinconia, quella dolce che non t’avvelena mai, ma che crea dipendenza, proprio quella roba che ti condanna alla speranza, mescoli bene e ci nutri la coscienza. S’inizia così, credo. A rotolare l’anima sui basolati di pietra lavica vesuviana. Come inizia il suonatore Jones, come inizia il bombarolo, come inizia la costruzione di un amore, come inizia il vento. E tu che sei una macchina fotografica, attraverso i tuoi filtri, i tuoi sensi, scatti foto. Scatti foto sui dettagli. Quelli impercettibili. E senza macchina fotografica, ma con le parole. S’inizia così. Per istinto di sopravvivenza. Davanti alla facciata della chiesa di San Lorenzo. Per partigianeria. Inizia una mattina che mentre te ne vai in giro per le strade della tua città, questa San Severo un po’ barocca un po’ gattopardiana, ti guardi attorno e cerchi di capire dove diavolo sei da anni. E perché. E ti chiedi che ruolo vuoi giocare. Il ladro? L’avvocato? O il politico? Ogni volta che si vota per le amministrative i candidati a consigliere comunale sono cinquecento, seicento. Una roba così. Una massa enorme di persone che non cambia mai niente. Un po’ per demeriti propri, un po’ perché la città è arroccata sulle proprie posizioni. Poi capisci che esistono altre strade. Capisci che puoi anche fare il ladro, puoi anche fare l’avvocato, ma tutto quello ti serve soltanto per ricaricare la tua tessera alimentare. Perché la macchina è molto più grande di te. E tu sei misera cosa. E l’unica cosa buona che ti resta da fare è essere te stesso. Sempre e comunque. Costi quel che costi. E fai il vento che spazza via quello che non sei. Mi volete ingranaggio?! Va bene! Ma se permettete ingrano a modo mio. La coscienza è la clitoride. L’anima ci gioca. I sensi sono attrezzi di lavoro, dell’amante. L’amante della vita. La mia, ma anche la vostra. È vero! Sì, è vero! A volte la coscienza e l’anima si scambiano i ruoli. Ma resta amore. E puoi farlo anche con un abbraccio. Puoi farlo anche con gli occhi. Puoi farlo con una pacca sulla spalla. O con una carezza. Puoi farlo facendo la spesa. Puoi farlo chiudendo un rubinetto mentre ti lavi i denti. Puoi farlo con le parole. Puoi farlo comunque solo in un modo. Con rispetto. Rispetto per l’altro. Perché l’altro è sempre cosa delicata da maneggiare con cura. E l’amore puoi farlo anche dicendo all’altro “non voglio fare l’amore con te”. O ancora “ho una gran voglia di fare l’amore con te, ma rispetto le precedenze, mi metto in fila, attendo quel che c’è da attendere. Cinque minuti. Due settimane. Nove mesi. Sette anni. Una vita, o due”. Anima e coscienza. Per non parlare di quello che fai con i fratelli e con le sorelle e t’importa una sega del legame di sangue, perché può anche non esserci, perché un fratello può essere anche chi fugge la morte e la trova ingoiando lamette e bulloni in un centro di permanenza temporanea. C’è poi qualcuno che l’amore lo fa anche con le parole. Roba da segaioli. Ma ce n’è e ce n’è tanti. I più bravi, e questi non sono mai loro stessi a dirlo, ad autodefinirsi tali, sono poeti. Non è che lo decidi, di essere poeta. Lo diventi. E, per giunta, te lo fanno notare gli altri. - Ehi! Sai che sei un poeta?! - Ma dai! ‘Cazzo dici?! Mi scappano troppi cazzi per essere poeta! - No, è che ci sai fare con le parole. - Ah, quello può essere. Riesco a metterle in fila. A farci collanine per quando ti trasferirai in Svezia. A farci diamanti che non potrò mai regalare alle mie donne. Certo, quello sì. - No, è che oltre a saperci fare con le parole, a metterle in fila, come dici tu, riesci anche a scuotere le coscienze, o le anime, o i cuori o le maniglie o quel che ti pare. Insomma, sei un terremoto. - Ah, dici quello?! Ma sai, quello non è proprio essere poeti. Quello è essere soprattutto se stessi, provare a esserlo, almeno. È che ho una gran voglia di strusciarmi addosso al tuo mondo, di passare per le tue dita, di sapere attraverso il contatto con te, lettore, amante sconosciuto, che esisto e che sto facendo meglio che posso il mio mestiere di vivere. - Non si direbbe, poeta. Sei il vento che spazza via l’aria stagnante. - Lo so. A volte anche non voler fare l’amore è un modo per fare l’amore. Perché sei roba delicata. Lo sei tu. Lo sono io. E lo è chi ci circonda. Siamo tutti robe delicate messe in relazione da equilibri che si evolvono. - Sono un po’ confuso. Mi hai confuso. Credo d’aver capito, ma non ho capito bene. - Lo so. Non credere. È che sei finito in questa storia quasi per caso. Per gioco. Tutti siamo finiti in questa storia quasi per gioco. Il fatto è che le storie servono per il futuro. E tutti abbiamo una gran fame di storie. Ci nutriamo di storie, ma qualche volta ci dimentichiamo che la storia siamo noi. Questione di tempo. Comunque. Cinque minuti. Due settimane. Nove mesi. Sette anni. Una vita, o due. Solo che sei a San Severo. Qua, dopo i terremoti, le facciate delle chiese vengono rifatte con le stesse pietre, le stesse pietre messe un po’ a cazzo. Sarà per questo che mi scappano sempre troppi cazzi. Poeta, bah! A San Severo se sei un poeta sei anche il matto, quello che lo trovi sotto l’arco della neve, dove c’era una volta un’edicola che vendeva caramelle ai bambini. Io sto là di solito, a custodire le radici dell’albero della libertà piantato nel 1799. Sto quasi sempre là a sventolare quella bandiera. Perché a me piace pensarmi vento. Il vento della sera, quello che prepara il giorno che deve ancora venire.
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