Ecco il nuovo barattolo. Aldo sale in piedi sul letto e ripone il vasetto sulla lunga mensola. Lo sistema tra decine di altri contenitori tutti uguali e sistemati in fila ordinata. Stac-Staaaaac. Si sente un suono vibrare tra le sottili pareti di vetro del recipiente. Il bambino attacca in bella vista un’etichetta rossa: “Occhi neri”. — Cataldo, vieni a mangiare. — Un attimo, ma’. Arrivo subito. — Stai perdendo ancora tempo con quei barattoli? — No, ma’. — Vieni che la cena si fredda. — Ma papà non è tornato, ma’. — Non tornerà, stasera. In fabbrica c’è assemblea. Vieni a mangiare. Il bambino scende dal letto. Guarda un’ultima volta i suoi barattoli e corre in cucina. Si lava le mani e si siede a tavola. Aldo è piccolo, ma molto preciso e ubbidiente. — Mamma, ma papà rischia di perdere il lavoro? — E che ne vuoi capire tu, che hai dieci anni. — Le maestre ne hanno parlato a scuola. La mamma abbassa la testa nel piatto e perde lo sguardo tra gli spaghetti al sugo, quando finisce Cataldo è lì a guardarla dritta negli occhi, con la forchetta rimasta a mezz’aria. — Aldino, non ti preoccupare. C’è stato un brutto sequestro della magistratura e la proprietà minaccia licenziamenti e mobilità all’Ilva, ma i Riva non li affonda nessuno. Bisognerà stringere i denti per un po’ e poi passata la buriana loro torneranno a produrre come prima e più di prima e noi a cenare a un orario normale...tutti insieme. Cataldo non fa più domande, finisce il suo piatto di spaghetti, aiuta la mamma a sparecchiare la tavola e aspetta per asciugare i piatti. Lei poi si accende una sigaretta e si piazza davanti alla tv e lui torna in camera sua. I barattoli sono divisi in due file. Sulla prima linea le etichette rosse. Lungo la seconda quelle blu. Cataldo si mette il pigiama. Poi apre un barattolo. Strach. Ssssstracccch. E lo richiude. Sull’etichetta si legge: “Corde di canapa”. Un altro. Toc. Toc. Sssstooc. “Troccola”. Uiu. Uiu. Uiiiiiiu. “Gabbiani”. Flll. Flll. Flll. “Papaveri”. Sclash. Sclash. Scaaaalsh. “Onde”. Ole. Yiuppi. Yeah. Uahhh. “Bambini” Stac. Stac. Stac. “Occhi neri”. E Cataldo, che ha la mania della precisione, aggiunge sull’etichetta: “Cozze”. Vrrr. Vrrrr. Vrrrr. “Libellula piccola”. Cataldo continua ad aprire e chiudere i suoi barattoli. Solo quelli con le etichette rosse, però. Quelli con le etichette blu, li scansa, li evita. Sulle etichette blu si legge: “Telegiornale”. “Manifestazione”. “Macchine”. “Motore”. “Caldaia”. “Forno”. “Parole”. “Fumo”. “Paura”. “Lacrime”. “Mamma”. — Perché su quel barattolo c’è scritto lacrime? Cataldo si volta di scatto. È suo padre. È tornato a casa. E il piccolo gli va incontro sulla soglia della sua camera. — Sei stanco pa’? — Un po’. — Sei triste? — Un po’. — Ma perderai il lavoro? — Credo di no, ma tu non ti devi preoccupare sei solo un bambino. Il papà di Cataldo è un ragazzo. Può avere poco più di trent’anni. Capelli ricci e faccia abbronzata. È un operaio specializzato dell’Ilva. È entrato in azienda cinque anni fa, quando suo padre, il nonno del piccolo Cataldo, è andato in pensione. E anche Cataldo, quando il mese scorso la maestra di Italiano gli ha chiesto di scrivere un tema dal titolo Che farai da grande, ha scritto:“L’operaio Ilva, come il nonno e papà”. Anche se a Cataldo la grande industria che produce acciaio fa molta paura. La maestra a scuola ha spiegato a tutti cosa è l’inquinamento e quali sono i rischi per la salute, ha usato una frase che fa davvero fifa: “Emergenza sanitaria”. Ma a Cataldo l’Ilva fa venire la tremarella soprattutto perché faceva paura a sua nonna Maria. — Non saremo mai ricchi, ma papà ha uno stipendio certo ogni fine mese e tu, piccolo mio, non ti devi preoccupare di niente. Il nostro padrone è molto forte e anche se sui giornali leggi che è tutto bloccato, non è vero. Noi produciamo come prima e più di prima. L’Ilva non si ferma mai. Il papà abbraccia Cataldo, la sua piccola testa, le sue piccole mani, le sue guance paffute e lo mette a letto. Gli rimbocca le coperte, proprio come si vede che i papà fanno nei film. — Non hai risposto alla mia domanda, però? Il papà prende in mano il barattolo con la scritta azzurra:“Lacrime”. Lo apre. Non succede niente. E lo richiude. — Papà, lo sai che è un segreto. — Sì, un segreto tuo e di nonna Maria. — Bravo. — La nonna era una mezza matta, piccolo mio. — A me la nonna piaceva e poi gliel’ho promesso. Il papà spegne la luce e Cataldo affonda la testa nel cuscino. In cucina sente i suoi genitori prima parlare un po’, poi darsi un bacio ...e una porta chiudersi. Poi più nulla. Quando in casa non sente più rumori Cataldo si alza in piedi sul letto e guarda la sua collezione. Il primo barattolo glielo ha regalato nonna Maria, poco prima di morire. Sopra c’è una scritta rossa: “Fresie”. Sono il suo fiore preferito. - Aldo, piccolo Aldo mio, questa città era una città allegra, colorata, viva. Quando nonna era una bambina come te c’erano i pescatori che ogni venerdì sera tornavano in porto con le barche cariche di pesce e si faceva festa, si cenava tutti insieme e si beveva vino primitivo. Mangiavamo pagnottelle e merluzzo fresco come il mare. E c’erano gli allevamenti di cozze, quelle piccole, nere e pelose che ci hanno resi famosi in tutto il mondo. C’erano gli artigiani e i pastori. Noi eravamo una famiglia di contadini. Coltivavamo pomodori e carciofi, avevamo le galline e pure una capra. L’aria era sottile e pulita e si sentivano i profumi di ogni cosa. Aldo adorava ascoltare i racconti della nonna. Passava insieme a lei lunghi pomeriggi, soprattutto l’estate quando prendevano il “15” per andare a mare a Lido Azzurro e poi si facevano l’ultimo tratto, dalla stazione casa, a piedi. - Ma poi sono arrivati i camini e tutto e cambiato. La nonna non chiamava mai l’Ilva con il suo nome, diceva sempre i “camini”. Come chiamava la polvere nera che si poggiava ogni sera sui balconi e sui panni stesi ad asciugare semplicemente “il minerale”. La nonna si è ammalata di “un brutto male”, come tutti lo hanno chiamato. Aldo non ha capito molto. Sa solo che un’estate la nonna non lo ha accompagnato più a mare, a settembre gli ha regalato il barattolo e a dicembre è morta. — Taranto è una città piena di suoni e di voci. Raccogli tutte le voci di Taranto e conservale, perché presto spariranno. E prima delle altre spariranno le più belle. Gli ha detto la nonna, quando gli ha affidato il barattolo delle “Fresie”. Aldo ha iniziato la sua collezione quando aveva otto anni. Ha diviso i suoni belli da quelli che gli fanno paura. Etichette rosse ed etichette blu. All’inizio i suoni con le etichette rosse erano molti di più. Ma ora, stanno diminuendo e aumentano le etichette blu. Sono tutti suoni legati ai camini: “fiammata”, “lavoro”, “sirena”, “marcatempo”, “manifestazione”, “blocco stradale”, “elettrocardiogramma”, “ecografia”, “studio medico”, “busta paga”. Spesso quando suo padre va al lavoro Aldo gli infila un barattolo nello zaino, con il coperchio aperto, e la sera lo recupera di nascosto, sente il rumore che è finito nel barattolo e lo etichetta. È riuscito così a catalogare rumori molto preziosi. Aldo prende il barattolo “Fresie” e lo poggia sul cuscino. Lo apre un po’. Sottile esce la voce della sua nonna. — Conserva le voci della Taranto bella. Aldo chiude il barattolo e si addormenta. Domani vuole prendere il bus numero 15 ed andare al mare, per catturare il suono del tramonto, quello a strisce gialle e rosse che solo Taranto ha. * Questo racconto è dedicato a Maria Carmen Morese del Goethe Institut, ad Alessandra Eramo e ai cinque artisti berlinesi che sono venuti a Taranto nell’ottobre 2013 per raccogliere i suoni della città e trasformarli in un percorso artistico dal nome “Correnti seduttive”. A loro che mi hanno insegnato ad ascoltare la voce di Taranto. CRISTINA ZAGARIA www.cristinazagaria.it #cristinazagaria #veleno #inchiostrodipuglia #vivilapuglia #leggereèrespirare > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook
2 Comments
Leonardo Senior Del Giudice
3/16/2014 09:12:30 pm
Stupendo racconto !! Dice molto di poù di tante lunghe analisi, entrando nella psicologia delle famiglie e delle loro dolorose scelte tra lavoro e salute.
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3/31/2014 08:19:31 pm
Complimenti vivissimi per l'atmosfera da favola che Cristina ha saputo creare per raccontare un'amara verità.
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