Chi vive lontano lo sa. Chi vive dentro lo ignora. Un paradosso? No. La vita. Per capire bisogna ricordare. Lo sa bene Paolo. Partito poco più che adolescente e trasformato nel volgere di pochi decenni in brillante docente. Spesso si cerca di non tornare. Perché ripartire è penoso. Paolo sapeva, ma non esitò. Quella mattina alle ore sette e trentadue minuti primi, lasciava la frizione della sua automobile per lanciarsi sulle vie dei ricordi. Ritornava al suo borgo natio, nella sua Francavilla. Non compiva quel viaggio da 5 anni. Il precedente fu un viaggio triste. Salutare le spoglie mortali della propria madre era stato doloroso. Ma oggi è diverso. Perché tornare allora? Paolo si era posto questa domanda, e a dire il vero anche sua moglie gliel’aveva chiesto. Non seppe rispondere a se stesso. Figurarsi alla moglie. Ormai la decisione era presa. Si trattava di percorrere strade già conosciute. Sua moglie non ne volle sapere di accompagnarlo. Paolo ne fu contento. Aveva bisogno di solitudine. A breve arriverà la Pasqua, sarà primavera. Mentre nella sua mente si alternavano pensieri molesti a ricordi piacevoli, cominciò ad insinuarsi un nuovo atteggiamento. Come se stesse cambiando abito. Sentiva di essere sempre lo stesso, ma cominciava ad insinuarsi sempre di più una percezione diversa del mondo esterno. Faceva finta di nulla. Ma la sua impazienza cominciava a crescere. Schiacciare sull’acceleratore? Forse potrebbe essere una soluzione. Lo faccio. Autovelox. Accidenti. Riporta la velocità al limite. Si ferma ad un Autogrill. Ancora centosettantacinque kilometri all’arrivo. Una tappa del giro d’Italia. Ricorda quando insieme a suo padre guardava in televisione la corsa rosa. Altri tempi o altro io? Mah. Si reca in bagno. Si butta addosso un po’ d’acqua fredda. Esce. Prende un caffè. Guarda le sigarette. Ha smesso di fumare da otto anni. Lo assale una voglia irrefrenabile. Cerca di controllarsi. Esce. Rientra subito. Compra un pacchetto. Lo guarda a lungo nella sua mano. Esce. Lo apre. Sente l’odore pungente del tabacco. Cerca l’accendino. Non ce l’ha. E per forza non fuma più. Va in macchina usa l’accendisigari. Finalmente fuma. Non è come lo ricordava. Butta subito via la sigaretta. Riparte. Decide di non fermarsi più. La strada corre lenta davanti a lui. Tutto scorre. Anche il tempo. Osserva gli ulivi che crescono sempre di più man mano che la sua meta si avvicina. Arriva sul far della sera. Decide di andare subito a casa. A casa di chi? A casa sua, si risponde. In realtà non sa cosa lo attende. Sono 5 anni che non mette piede nel luogo che lo ha visto bambino prima, adolescente poi, e che ha salutato con una valigia in mano. Aveva annunciato il suo arrivo alla sorella che lo aveva rassicurato: avrebbe trovato la casa pulita. Mette la chiave nella toppa. Gira. Apre. Si ritrova in un ambiente familiare che però ormai non conosce più. Gli viene un capogiro. Si siede sulla poltrona che un tempo era di suo padre. Lascia i suoi bagagli al centro della stanza. Non sa cosa gli è preso. Una lacrima sgorga dai suoi occhi. Lo squillo del cellulare lo riporta in vita. La moglie vuole sapere se è giunto a destinazione. Lui la rassicura. Dopo la breve chiacchierata con la consorte ritorna cosciente. Mangia un panino che si era portato per il viaggio. È presto sono solo le otto. Fa una doccia e va a letto. Prende il suo libro. Crolla dal sonno. Si addormenta subito. Sogna come un bambino. L’indomani si sveglia all’alba. Sono le sei e zero minuti primi. Si alza. Prepara il caffè. Lo beve alla finestra. Osserva tutta un’umanità semplice al lavoro. Ne rimane estasiato. Decide di fare in fretta vuole uscire. Presto. Come quando era un ragazzo nelle domeniche che precedono la primavera, quando senti bussare alla tua porta le rondini. E poi, oggi è venerdì. Un venerdì speciale per Francavilla: il venerdì Santo. Nella sua mente si affollano ricordi. Esce. La sua casa è a ridosso del centro. Dove si erge la cupola più alta del Salento. Davanti la Piazza che è il Centro delle Terre d’Otranto. Osserva intorno a sé come se quello che guarda lo vedesse per la prima volta. Vantaggio dello straniero. Condanna dell’esule. Anche se inconsapevole. Passeggia. L’unico suono è il ticchettio dei suoi passi. Osserva la Basilica Minore nella sua maestosità, ma la sua attenzione è calamitata dalla Chiesa della Morte, centro del culto del Venerdì Santo. Qui durante l’anno riposano le statue che durante la serata attraverseranno le vie della città. La sua mente vola a quando da bambino andava a vedere di nascosto il volto di Gesù martoriato. In quel viso scorgeva dolore e terrore. Ricorda che ne era spaventato. Ma allo stesso tempo non riusciva a fare a meno di guardare. Mentre prosegue la sua passeggiata mattutina con il naso rivolto all’insù, quasi a voler sfidare il cielo, il suo corpo è scosso da un incontro inaspettato. I Pappamusci. Simbolo della città. Pellegrini scalzi e incappucciati che percorrono le vie di Francavilla andando a pregare sui sepolcri. Incredibilmente queste figure erano scomparse dall’orizzonte dei suoi ricordi. All’improvviso sgorga una sequenza incredibile di immagini. Quasi una emorragia di ricordi. Si ferma. Li osserva passare. Si rivede, proprio in quella strada, mano nella mano con suo nonno. L’anziano gli raccontava la storia dei Pappamusci. Lui spaventato si nascondeva dietro la sua gamba. Decide di proseguire ostinatamente la sua passeggiata. Entra nelle Chiese della città. In tutte sarebbe impossibile. Sono 21. Troppe per una mattinata. Ripercorre quelle più significative sulle vie dei ricordi. In ognuno dei luoghi che osservano i suoi occhi ritrova una parte di sé. Una parte che non credeva più di avere. La città si anima. Comincia la processione mattutina. Tanta gente assiepata lungo le strade. Ormai non conosce più nessuno. Osserva affascinato. Si rifugia in un bar. Prende un caffè. Di nuovo una voglia irrefrenabile di fumare. In tasca ritrova le sigarette. Ne prende una. Non ha l’accendino. Ferma un passante. La prima boccata è una rivelazione. La fuma per intero. Si sente stordito. È fermo. All’improvviso un suono lo ridesta. È il Perè. Una melodia antichissima di trombe che sottolinea il passaggio dei Pappamusci. Altri ricordi si accumulano. Decide che è arrivato il momento di pranzare. Si rituffa nel centro. Questa volta a solleticare la sua memoria sono gli odori. Profumi che fuoriescono dalle case. Entra in una Osteria. Pranza. Alle 15.00 ne esce. Decide di fare ritorno a casa. Un po’ di riposo prima della grande processione. Alle 18.30 esce nuovamente. Osserva le enormi croci disposte vicino alla Chiesa della Morte. La sua memoria galoppa di nuovo. Si rivede ancora una volta bambino con suo nonno ad accarezzare quel legno freddo. Tra poco, uomini incappucciati e scalzi trascineranno per le vie delle città queste pesanti testimonianze dell’amore di Cristo. Si posizioneranno tutti dietro alla statua che immortala Cristo alla Cascata - Dove mi vedesti? - Si racconta chiese la statua al suo autore. Si ferma, ha bisogno di calmarsi. Accende una sigaretta. Si rifugia in un bar. Si siede ad un tavolino. Un suono sordo richiama la sua attenzione. È la trènula. Un altro oceano di ricordi ancestrali lo travolge. Paga il conto. Esce osserva la processione nella sua magnificenza. I suoni che si alternano sono la trènula e lo stridere delle croci lungo la strada. Decide di tornare a casa. Prende il telefono. Chiama la moglie. Resta. Ha trovato il senso del suo viaggio nato per passione e terminato in se stesso. Ha ritrovato il senso. Per passione si vive. Per passione si arde. Per passione ritroviamo noi stessi. Senza passione moriamo ogni giorno. VINCENZO SARDIELLO www.inpuntadicravatta.com #vincenzosardiello #raccontiinpuntadicravatta #inchiostrodipuglia #vivilapuglia #leggereèrespirare > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook
3 Comments
luigi lerna
6/22/2014 11:49:26 pm
Racconto semplice, emozionante. Da leggere tutto d'un fiato. Toccante, fa riflettere molto. Mi ha fatto ritornare alla mente alcuni momenti vissuti con mio nonno, purtroppo oggi non più presente.
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Mimmo Tardio
6/23/2014 02:23:23 am
Bello lo stile, al solito asciutto e sincopato...Talora è come se mi fossi rivisto in quel racconto : il semtirsi ed essere di fatto invisibile, i ricordi dell'infanzia, le paure per i pappamsuzi ed i volti dolenti e drammatici.. Un bel racconto, che sopratutto chi conosce quel sentimento del ritorno, quel nostos, credo possa apprezzare meglio. Complimenti.
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Rossella Meo
4/14/2017 11:02:23 am
Bellissimo racconto, davvero emozionante.
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