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Barletta: Rino, il ragazzo della carne

6/9/2014

24 Comments

 
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1982. Quell’estate Barletta scottava come un ferro da stiro bollente, il caldo inzuppava le ossa e si stava soffocati come pulcini dentro una scatola di scarpe. Se provavi a tirare su la testa per respirare, il mondo appariva in una luce zafferano come uno scatto fuori fuoco. Paolo Rossi avrebbe infilato tre pappine al Brasile di Falcao e pertanto, le sbombardate dei ragazzi contro il portone della Cattedrale Maggiore, avevano tutti i nomi della nazionale e di quella indimenticabile stagione.

Nel quartiere vecchio di Santa Maria, le donne della Marina comunicavano da un balcone all’altro infilzando le mollette nei panni stesi all’aria, si raccontavano i fatti
loro e  loro, così dicevano,  mentre il profumo del ragù della domenica sbuffava da ogni pertugio come un treno a vapore. La povertà del quartiere in quegli anni cariava i sogni di chiunque, e l’eroina, proprio come l’acqua, si infilava dappertutto. I ‘uagnon  si facevano nei vicoli della chiesa di Sant’Andrea tra il piscio dei gatti e il ronzio delle zanzare, collassavano con le spalle al muro del carcere mandamentale oppure a dorso nudo, sopra i basolati nei pressi delle scalinate. Stavano con il naso all’insù ad ammirare le stelle, ma visti da vicino erano soltanto merce avariata. Santa Maria era il regno dei pescatori e quelli del centro non si erano ancora comprati tutti gli appartamenti del borgo antico. Il Fornaricchio, scaldava tranquillamente le teglie di pasta al forno per il popolo con gli zoccoli e nessuno, proprio nessuno, si immaginava che trent’anni dopo, da quelle parti, qualcuno avrebbe aperto un sushi bar e sarebbe andato pure bene. Tra quelle sacche gengivali viveva Rino, quattordici anni a maggio di cui tre, passati a fare il ragazzo della carne per conto della macelleria Capasso. Come un Supersantos schizzava da una parte all’altra della città per sentirsi dire più o meno la stessa cosa, “Sali, terzo piano!”, o  semplicemente, “scendo io, aspetta!” Consegnava così salsiccia di cavallo, filetto tagliato sottile  e chissà quante spangelle nei condomini della Barletta City. L’obiettivo da raggiungere era sempre uguale e valeva tutta la sua libertà: la mancia! Tra i clienti di Capasso c’erano anche i genitori dei suoi compagni di scuola, quelli della terza B Giuseppe De Nittis, gente che apriva la porta e consegnava frettolosamente il resto senza una parola. Ma Rino se ne fotteva di  tutti, lui correva e portava, portava e correva. “Signo’, a che piano?” E poi via a scorazzare con la sua bici senza freni lungo la litoranea di ponente in mezzo a pini marini, palme avvelenate e  fogna rotta. Magro come un fil di ferro e nero nero come un vermetto, se ne stava dentro la sua divisa fissa: jeans tagliati corti del fratello grande e maglietta lisa. La bici invece puzzava di ruggine sgretolata, di usato, proprio come i suoi mocassini di due taglie più in là e dalle suole logore per le mille frenate coi piedi. Sotto le ruote, uno ad uno,  i chilometri di lacrime controvento se ne andavano via veloci in una splendida passerella dinanzi al Paraticchio. Adorava rompere i coglioni a chiunque Rino, zompava il cappello ai vecchi e sputava ai rari turisti di passaggio. Ma la cosa che gli piaceva di più, era andare sul Braccio del Porto, tuffarsi dal Trabucco e restare con le mutande bagnate sugli scogli imporporati dal sole. Aveva gli esami di terza media quell’anno Rino, una meta raggiunta grazie all’influenza miracolosa della Madonna sotto al campanale, “quella con le mani alzate”, come diceva zia Rosaria, “quella che quando interviene, se interviene, lo fa in silenzio e si cuce poi la bocca!”Insieme alla Madonnina, una grossa mano a Rino era arrivata anche dal professor Spadaro, il quale non aveva mai smesso di stargli vicino e di passargli poesie. Erano versi che Rino fingeva di rifiutare ma che segretamente, riportava sulla carta della carne. Il poeta preferito dal professore era Bodini del quale Rino conosceva ogni verso a memoria, versi che Rino però, ripeteva a voce bassa, tanto per non farsi dare del ricchione dagli amici di scorribande. “Cade a pezzi a quest’ora nelle terre del sud un tramonto di bestia macellata, l’aria è piena di sangue”. Gli ricordavano il suo lavoro, forse per questo li amava così tanto. Si presentò agli esami in perfetto ritardo, con il look di sempre e il solito fare da bullo strafottente, infilò il culo stretto nel banco e con la penna poggiata sull’orecchio sinistro, si mise a fissare la commissione come si fissa un plotone d’esecuzione. Traccia: descrivete le bellezze storico artistiche della vostra città con precisi riferimenti e metafore. Partirono tutti tranne Rino. Il professor Spadaro allora, sfidò lo sguardo del ragazzo della
carne come in un film western di Sergio Leone e sparò per primo, “muoviti, che aspetti!” Per Rino fu lo start.
 
Svolgimento: 
Le bellezze storico artistiche della mia città sono assai. La cattedrale di Santa Maria Maggiore per esempio, è bianca bianca come un filetto di pollo arrostito, il gigante invece, Eraclio per
capirci,  è tutto di bronzo, durissimo come le ossa delle spangelle. Molto bella è pure la chiesa del Santo Sepolcro, so che apparteneva ai Templari. I Templari sono anche il nome del ristorante dove abbiamo festeggiato la comunione di mia sorella piccola. Davanti, la chiesa è un poco sporca devo dire, sembra lardo di colonnato affumicato. Infine sta palazzo della Marra, quello che abbiamo visto alla gita istruttiva: tiene il balcone al centro tutto riccioluto, assomiglia al macinato quando esce dalla macchinetta della salsiccia. Ma la cosa che mi piace di più della mia città è il tramonto, cade a pezzi ad una certa ora sulla terra del sud e sembra una bestia macellata. L’aria diventa piena di sangue. Fine. 

Fu una bocciatura senza appello quella che si beccò Rino, “cattivo gusto”, la sentenza della professoressa Sciancalepore, presidente di commissione che ignorò, per ignoranza, il fatto che quel figlio di puttana di Rino si fosse appropriato dei versi di Bodini senza nemmeno citarlo. Quell’anno però la scuola bocciò non soltanto Rino e le speranze del professor Spadaro, bocciò anche Bodini, di cui, evidentemente, non conosceva nemmeno l’esistenza. Ma la scuola è così, se non le assomigli ti respinge. Pochi giorni dopo, al pian terreno dell’istituto Giuseppe De Nittis di via Libertà, furono  appesi ai muri i quadri per l’ammissione agli orali. Rino, in mezzo a quella calca, riuscì a leggere appena il suo NON AMMESSO, nient’altro. Si sentì perdere fiato, svuotato di ossa e muscoli, incapace di muovere qualunque arto e immobilizzato come un moscerino dentro colla bollente.
La sera stessa il padre lo avrebbe stroppiato di mazzate col classico menù: cinghiate dalla parte della fibbia e anelli delle mani rivoltati. Quando la cosa accadde però, Rino trovò per ogni colpo, la forza di stamparsi addosso un sorriso malandrino e beffardo. I lividi in fondo, li stava spartendo con Bodini!

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TOMMY DIBARI
NonHoTempoDaPerdere

#tommydibari #nonhotempodaperdere
#inchiostrodipuglia #vivilapuglia #leggereèrespirare


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24 Comments
Michele Sfregola
6/8/2014 06:05:56 pm

Bellissimo e commovente.
La scuola può "fare e disfare" i futuri uomini!

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pietro frenta
6/8/2014 06:19:28 pm

Racconto veritiero, nostro. Lo leggi, ci sei. Sai che abiti tutte le arterie della Puglia intera.Ci scorri. Complimenti, ma fort fort, Tommy.

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Francesco Paolo Doronzo
6/8/2014 07:00:57 pm

Che bel salto nei "nostri tempi"! La Barletta che si viveva e si sopravviveva..la banda Pavone di S.Maria terrorizzava noi ragazzini..

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Romolo CHIANCONE link
6/8/2014 11:12:59 pm

Un racconto originale e significativamente allusivo ai guasti che (per fortuna, solo talvolta) una certa scuola può generare... e non mi riferisco certo alla prova d'esame, che generalmente si limita a registrare gli esiti del precedente iter scolastico.
Ho letto come se stessi assistendo alla proiezione di un breve documentario, ben girato, anche se con qualche concessione a una nostalgia paesana d'antan.
Un bel contributo al ricordo di Vittorio Bodini, dopo la recente celebrazione torinese, in occasione dell'ultimo salone del libro (Rosella Santoro, Guido Davico Bonino, Antonio Lucio Giannone).

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Antonella
6/9/2014 12:01:14 am

Ho trovato il tuo racconto originale,l'ho letto col sorriso.
Ormai è raro trovare per strada la figura di Rino,forse perché questa generazione è poco umile,rispetto alla nostra,comunque,e per fortuna ci sono l'eccezioni.
La scuola molto spesso penalizza,a volte i professori sono poco al dialogo con gli alunni.Credo che Rino sia stato penalizzato perché il suo tema non era abbastanza lungo,e pertanto il suo estro e la sua originalità nel paragonare le bellezze di Barletta alla "carne" non sono state considerate....."ma la scuola è così,se non le assomigli ti respinge"

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alex
6/9/2014 01:10:25 am

Bravo bravo come sempre Totò

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Rino
6/9/2014 02:05:40 am

Rino!!!.... A Barletta se chiami Rino si girano tutti non per niente io mi chiamo Rino e ne vado fiero. Un film solo che nel film Rino l'avrebbero promosso

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Giulia
6/9/2014 06:47:22 am

Questo racconto mi ha dato i brividi!

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Anna Maria
6/9/2014 05:03:00 pm

Bellissimo!!! cosa è cambiato, in fondo?
Lo leggerò ai ragazzi a settembre...sempre alla De Nittis!

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Giancarlo
6/9/2014 05:07:46 pm

Oggi Rino sarebbe stato promosso. Ma non perché avrebbero capito e premiato il suo racconto, ma per togliersi davanti quel "peso morto" passando il problema alle scuole superiori.

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Tommy
6/9/2014 11:26:43 pm

grazie di cuore a tutti

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carmela milillo
6/10/2014 12:27:50 am

Complimenti!!! Letto tutto d'un fiato... così preciso nelle descrizioni che sembrava di vivere ogni momento e di correre insieme a Rino... bravo. Sono contenta per te...

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Alessandra
6/10/2014 12:37:57 am

Bello, bello e crudo ! L'ho letto tutto d'un fiato! Complimenti

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rossana
6/10/2014 09:15:24 pm

complimenti!! l'ho letto tutto d'un fiato, davvero emozionante

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angela
6/11/2014 05:54:21 am

Davvero molto bello...!!!

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maddalena link
6/11/2014 07:44:50 pm

Mi sembra di risentirli quei profumi, le urla di mia madre che mi chiamava a me e i miei fratelli affacciata al cornicione del terrazzo dove abitavamo, in via municipio 87.
La nonna segnata da tanti dolori e dal duro lavoro , incominciava e terminava i suoi discorsi con un vaffa...,come per mandare a quel paese i panni dei signori che per necessità aveva sempre lavato sulle terrazze dei palazzi con il freddo più pungente e l'estate più torrida.
Grazie

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Tommy Dibari
6/11/2014 09:38:25 pm

grazie a te Maddalena per la bella descrizione di via municipio

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anto
6/13/2014 03:41:10 pm

E' stato come vedere un corto bellissimo!!!Avrei voluto saper scrivere cosi' bene, COMPLIMENTI.

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Giusy
6/14/2014 05:19:28 am

Questo racconto mi ha portato indietro di anni, quando ogni bottega aveva un garzone che consegnava la merce a casa. Nella mia mente ho immaginato questo ragazzino magro e svelto che passava da una casa all’altra per le consegne.

Senza parlare del tema scritto per gli esami, originale e semplice l’idea di paragonare ogni cosa ad un taglio di carne. Così, con un po’ di leggerezza ed un po’ di ingenuità, Rino si è preso una bella bocciatura. Io non scrivo da Barletta, ma anche da noi era così, si era “alla buona”, si scriveva senza riflettere.

In terza elementare mi fecero fare un tema, “i mestieri dei bottegai”, in cui dovevo descrivere i mestieri del mio paese ed io elencai i soprannomi di tutti quelli che avevano un negozio. Ricordo che la mia maestra nel leggere il mio tema sorrise.

Un BRAVO, BRAVO, BRAVO allo scrittore Dibari perchè mi ha fatto rivivere qui tempi.

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rocco
6/15/2014 07:52:36 pm

bellissimo racconto continuo a rileggere.

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Tommy
6/19/2014 12:31:06 am

grazie ancora a tutti! Siete la mia energia solare!

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Carmela Dibari
10/13/2014 05:17:05 pm

Particolare e autentico....ho rivisto quei posti, allora così vissuti!!!!
Complimenti Tommy!

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carmela piscicelli
2/3/2015 10:17:46 pm

Che dire di questo racconto.....meraviglioso mi sembra di sentire mio nonno quando lo raccontava...e poi per giunta mi ci portava da Rino in quella macelleria....mamma quanta salsiccia cruda ho mangiato da Rino....buona sento ancora il suo sapore.....era un rituale io essendo nata a Barletta ma residente a Roma ogni qual volta si scendeva dai nonni c'era il giro rituale dei saluti e della spesa da riportarci a casa a roma....perché qui a Roma se la scordato la salsiccia e la carne di cavallo!!!! E poi io Rino lo conosco siamo pure quasi parenti....suo fratello Pino è il marito della sorella di mio padre....

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matteo
5/19/2016 01:56:05 pm

Che bello. Meravigliosamente scritto. Complimenti all'autore e alla città

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