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Bari: alla taverna del Maltese

7/14/2014

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Rivedersi dopo oltre vent’anni con amici che non hai più  cercato.
Di giorno basterebbero pochi minuti per un saluto di circostanza, ma di notte è un’altra cosa.
Di notte Bari può catturare e trasformarsi in un irreale cinema della memoria” G.Carofiglio


Il campanello squillò, una, due volte.
Viola guardò l’orologio sulla parete, le 23,30.
Uscì sul terrazzino, l’aria era ancora umida di pioggia, mista all’aroma dei gelsomini che si arrampicavano al muro antico, pieno di crepe, dove avevano dimora le piante di capperi.

-Fabio, che ci fai qui a quest’ora?-
-Scendi, c’è uno scoop che ti prendi la prima pagina.-
-Ma, piove, è tardi- protestò lei.
-Muoviti, vuoi fare la giornalista? Ecco impara che le notizie non ti arrivano alle nove del mattino sulla scrivania.-
Viola rientrò, prese una felpa che si buttò sulle spalle e scese.
-Dai sali.- Fabio le allungò il casco.
-Ma dove dobbiamo andare?-
-Monopoli, Marco ha avuto una soffiata, stasera arriva un carico da mille e una notte.-
-E tu con quello in testa te ne devi venire?- lo apostrofò Viola alludendo al cappello Panama che Fabio indossava.
La città era stranamente vuota per colpa del temporale, la strada scivolava via veloce e l’asfalto liquido assorbiva le luci dei lampioni.
Alla Vela giocavano a carte.
Il grande teatro se ne stava nero e triste, come un eroe vinto.
Il Dona Flor chiuso. Da tanto tempo. Restava l’aroma di un Alexander sulle labbra. Cacao al posto di noce moscata. Così li preparava Fabio. Perché a lei piaceva non troppo speziato.
Sul lungomare Viola osservava il profilo di Bari distesa alle sue spalle, in quel bagliore argenteo, tra la cattedrale e il  faro.
Un cartellone pubblicizzava il programma estivo all’Arena dei Riciclotteri.
Il mare era inchiostro nero, stranamente tranquillo, al di là dei frangiflutti.
-Perché Marco non ci ha aspettati?- domandò lei, alzando la visiera del casco.
-Perché Mal herba sta con quelli, fa l’infiltrato- rispose Fabio allungandole la Polaroid
-Tieni questa- aggiunse.
Viola chiuse un attimo gli occhi, nell’incoscienza dei loro vent’anni, di chi pensa che la vita sia un gioco, una partita a monopoli, un poker e che in qualche modo fossero capaci di giocare anche la morte.
Gli anni delle telefonate dalle cabine pubbliche, quando non c’erano cellulari e macchinette digitali.
Nella polverosa biblioteca di Santa Teresa dei Maschi scovarono quei bizzarri soprannomi, mesi prima, quando lei e Marco iniziarono a collaborare con un giornale locale.
Marco era Mal herba, Fabio Mal Tempo e Viola Scarciofola.
Le vie della città vecchia, il dedalo, un intricato labirinto che per non perderti dovevi esserci nato, e Fabio lì era cresciuto, tra il sagrato di San Nicola e il porto, tra le leggende che erano favole per far star buoni i piccoli, come l’isola di Monte Rosso o la
“cape du turche”, finita sotto il balcone di una casa di Strada Quercia numero 10. La città vecchia, di gente semplice e forte, di donne che facevano le orecchiette, vicino al castello, sotto l’Arco Basso, e l’uomo del ghiaccio, che con il motore, la sera portava secchi congelati agli ambulanti abusivi che vendevano la Peroni sul lungomare e Finella che friggeva le sgagliozze e il sale brillava sulle fette di polenta fritta. La città vecchia di chiese e di santi, di Madonne agli angoli del cuore.
E le sere d’inverno ai tavoli del Maltese si raccontavano storie, racconti, leggende.
Come bugie di pescatori e sogni sul pentagramma, lenzuoli in sanscrito.
La strada correva via veloce.
Torre Incina. Zona Polignano-Monopoli.
La torre se ne stava silenziosa al limitare della baia, arrivarono a piedi attraverso un campo di erbacce alte, in equilibrio precario tra la notte e le cicale.
-Vedi?- bisbigliò Fabio indicando un punto impreciso nel buio.
-Cosa?-
-Ecco.-
Una luce sulla spiaggia rispondeva a un codice, una luce flebile sul mare.
Poi avvenne tutto velocemente, un motoscafo, le casse di sigarette di contrabbando e tante persone, mezzi blindati, come sul set di un film.
Improvvise, venute dal nulla sirene spiegate, forze dell’ordine, qualche sparo.
-Scatta, scatta- diceva concitato Fabio.
-Andiamo, via, corri.-
-E Mal herba?-
-Corri, sa badare a se stesso.-
La corsa nella notte con il cuore in gola, le stoppie che ferivano le gambe nude.
Cadere e rialzarsi.
Poi la corsa a ritroso.
Rientrati in città fermi da Cesare. I ragazzi compravano i cornetti. Le due del mattino.
-E Marco?- chiese ancora Viola.
-Abbi fede- rispose Fabio.
Seduti sui gradini della chiesa a scrivere l’articolo, tra briciole e zucchero sulle guance.
Le tre.
Il rumore di una motocicletta.
-Mal herba- dissero in coro.
Marco si tolse il casco era fradicio, si era buttato in mare nel caos generale.
Si abbracciarono.
-Ragazzi ma una sigaretta ora me la fumerei.-
Scoppiarono a ridere, mentre portavano al giornale il loro scoop.
Poi un passaggio ponte con un traghetto per la Grecia e urlare in faccia al mare che avevano vent’anni, e l’azzardo alla vita l’avevano fatto, corteggiando la morte.

V
ent’anni dopo, un cartellone pubblicitario annunciava il programma estivo all’Arena dei Riciclotteri, alla Vela si giocava ancora a carte, e al Maltese ci si raccontavano storie, racconti e leggende.
Nella città vecchia il piano Urban aveva dato vita alla movida notturna, tra locali e pub, e i giovani scendevano dalla “town” di Poggiofranco per incontrarsi.
Viola entrò nel locale rinato vicino al grande teatro. Anch’esso risorto.
-Posso avere un Alexander con il cacao?- domandò a un cameriere.
-Devo chiedere-
l’uomo si allontanò e lo vide parlare con un altro uomo vicino al bancone, che alzò lo sguardo su di lei, scosse la testa e sorrise.

Viola si avvicinò.
-Mi hanno fatto una soffiata- disse abbracciando Fabio.
-E, immagino quale giornalista sarà stato- rispose lui.
Marco si avvicinò:
-Avete da accendere?-

Poi la notte se li portò via, seduti sui gradini di una chiesa, tra briciole e zucchero, la loro storia personale da raccontare di quella notte. Seduti alla Taverna del  Maltese.
Mai stanchi di ricordare.
-Sapete dove vorrei andare?- disse Marco.
-Alla Torre?- disse Fabio.
Pochi minuti dopo erano sulla strada, l’aria entrava dai finestrini, un vento caldo che accarezzava la pelle di Viola. Mezz’ora sulla 16 bis.
Restarono per un po’ seduti sulla spiaggia a guardare le onde.
L’alba era ancora lontana.
-Facciamo il bagno- disse Viola.
Il tempo era un’equazione fatta tra la vita passata e quella futura. In equilibrio perfetto quell’attimo di presente. Vent’anni dopo.
E alla radio una canzone ...

Serenella
coi soldi cravatte, vestiti, dei fiori
e una vespa per correre insieme al mare. 
Al mare di questa città
alle onde, agli spruzzi
che escono fuori dalle nostre fontane.
E se c'è un pò di vento,
ti bagnerai,
mentre aspetti me
al nostro caffè.  A. Minghi

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CRISTINA CARDONE
www.lasignoradellapioggia.blogspot.com

#cristinacardone #brichét
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2 Comments
roberto
9/28/2014 06:26:51 am

Rapido come un ratto, un'immersione in apnea.

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Matteo
8/15/2017 11:58:09 am

Bari è un sentimento, espresso in maniera spettacolare in questo racconto!

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