Molfetta mi accoglie tra le mura. I Santi mi scivolano addosso come le persone. Mi sembra di essere a casa. Non so il perché. Niente corrisponde. Ho voglia di scrivere una poesia. Come? Devo sforzarmi di vomitare dalle viscere della memoria qualche canone poetico. Sono la delusione dei miei professori. Qualche figura per includere il mare, il cielo, le bianche mura della Terra di Molfetta. Vita e morte, sublime e macabro, scivolo lontano nel tempo, eppure sento di essere a casa. -Mio Dio!- urla il mio Ego. - Una poesia? Mare e nuvole? Tra i vicoli bianchi, troppo poco Veneziani, mi raccontano delle mura di difesa, mi raccontano delle battaglie. Mi fanno vedere dove lasciavano marcire le ossa degli sconfitti per farli portare via dal mare. La Chiesa della Morte. Sento di esserci già stato. Non ero vivo. Guardo il buco nero dove ammucchiavano i morti. Ho dormito lì per secoli. Lo sento. La mia pelle scura ne è testimonianza. Il mio Spirito vibra di certezza. Non ero un eroico difensore, un ingegnere costruttore. Delusione puerile della coscienza che sorge. Sono uno dei Turchi. Sceso dagli altopiani dell’Ararat per imbarcarmi su una delle navi Ottomane. Il vento mi smuove i baffi. Mi tocco le pistole infilate nella fascia rossa che porto sulla cinta. Yatagan ricurvo in avanti è affilato, pronto per aprire le pance e le gole. Città bianca, Terra di Molfetta, trema. Le vie saranno rosse, le mura nero cenere. Sto arrivando. T’abbraccerò forte finché non diventi mia o finché io non diventi te. Così deve essere. Così è stato, così sarà. Spirito mio è tornato sotto lo stesso Sole. Sotto le mura bianche dove le mie ossa si sono sgretolate nel tempo, Per tornare al mare. Mordo il polpo battuto. Ha la consistenza di una mela. Mi scrocchia tra i denti. Perché mi assale questo sentimento d’imminenza? Il polpo è fatto di materia già mia. Mi mangio le ceneri delle mia vecchie ossa. Sono di nuovo Uno. Invasore a casa. Lo straniero imprigionato per sempre, Nella Terra di Molfetta. > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook Nikola P. Savic, di origine serba, si è trasferito in Italia quando aveva 12 anni. Campione di Thai Boxe, laureato in Scienze della Comunicazione all’Università degli Studi di Bologna, vive e lavora in provincia di Venezia con la moglie bulgara e la figlia. “Vita migliore” Bompiani è il suo primo romanzo. Un bagliore di luce illumina la statale 247 che collega Gallipoli con Leuca. Il flash acceca i passeggeri e sparisce dopo aver leccato la targa dell’auto. “L’hai visto?” “Sì, cos’era papà?” “Era l’autovelox, stavo andando troppo veloce e mi sa che ho preso una bella multa. Ora rallento.” Controlla lo specchietto retrovisore per vedere se non li segue nessuno e stringe entrambe le mani sudate sul volante. Proseguono nella notte senza più fiatare. “Marina di Pescoluse.” La bambina legge il cartello direzionale, saltellando sul posto e appoggiando la fronte sul vetro del finestrino “non vedo niente.” “Aspetta un po’ Amelia, ancora qualche minuto.” La macchina si tuffa a destra per imboccare un’altra strada. I cartelloni di ristoranti e di lidi s’intensificano, spuntano le prime case. Per strada non c’è un’anima viva. “Guarda alla tua destra, vedi quel nero profondo? Quello è il mare.” Amelia abbassa il finestrino e si sporge, l’aria fresca riempie l’abitacolo. “Chiudi tesoro, che ci ammaliamo. Tu non vuoi tornare all’ospedale vero?” La bambina richiude il finestrino, l’auto prosegue fino al parcheggio e si arresta in mezzo al piazzale vuoto. “Siamo arrivati. Ora ti abbasso il sedile, così dormi un po’ cucciola.” “Papà, quando andiamo sulla spiaggia?” “Domani. Faremo una bella passeggiata e se sarà una giornata di sole potremo stare in giro tutto il giorno. Intesi? Ora però devi dormire. Dai un bacio a papà.” La bambina l’abbraccia per il collo e gli dà un bacio sulla guancia. “Ti voglio bene.” “Ti voglio bene anch’io. Vado a fare due passi qui fuori, ok?” La bambina non risponde, è già crollata. Lui le rimbocca la coperta, le passa la mano sulla testa meravigliandosi quanto il pallore del suo viso spicchi anche nell’oscurità della notte. Ha bisogno di respirare, di uscire fuori. Un pezzo della spiaggia è divorato dall’alta marea. La sabbia è umida e l’aria è fredda e appiccicosa. Lui rischia di ammalarsi a star seduto per terra, ma poco gli importa. Boccheggia l’aria fredda che gli lacera la gola. Piange, geme e trema accovacciato nella stessa posizione per ore finché non sente di aver svuotato il corpo dal dolore e dalla rabbia accumulati dal momento della fuga dall’ospedale di Taranto. Poche ore prima lui aveva sfruttato la confusione per portare Amelia fuori a fare due passi nel parco adiacente. Lei era molto debole, priva di quella energia vitale da bambina che lo faceva tanto sfinire. “Piano” le diceva “non correre che ti farai male. Ma non sei stanca?” e la bambina rideva e continuava a saltellare in giro. Cosa non avrebbe dato per vederla correre di nuovo così, per allontanarla da quel luogo di morte dove il suo medico curante aveva pronunciato la sentenza definitiva misurando la sua vita in giorni se non in ore. Un’infermiera si era affacciata dall’ingresso cercando qualcuno e lui si abbassò per non farsi vedere. “Ehi cucciola, ti va se andiamo al mare?” lei lo guardò stupita. “Potremmo partire subito e domani ci alzeremo presto per fare una bella passeggiata sulla spiaggia. Ci stai?” la bambina fece sì con la testa. Passarono da casa per prendere qualche indumento e un paio di coperte e poi partirono protetti dalla discrezione della notte verso il sud, direzione: Marina di Pescoluse dove lui aveva trascorso ogni estate a coccolare la sabbia bianchissima con i piedi nudi e a giocare con gli altri bambini in compagnia dei nonni. Fino alla loro morte quel posto per lui era stato il paradiso sulla terra, e lì, dove il suo animo trovava pace con il resto del mondo, decise di portare Amelia. Le piccole onde si schiantano a meno di un metro dai suoi piedi. Spaventato, con gli occhi pesti solleva la testa e dopo aver scrutato l’auto rivolge lo sguardo dolente verso la spiaggia catturato dall’apparizione di una figura. Una sagoma dai lineamenti sfumati avanza verso di lui barcollando sulla linea tra l’asciutto e il bagnato. Lui fissa la figura senza muoversi, muscoli tesi, pronto per difendersi. L’estraneo si ferma davanti a lui come se lo stesse guardando. Il freddo della notte gli sale fino al collo, si accorge di avere i jeans inzuppati. La persona alza il braccio per salutare qualcuno in lontananza, si volta e torna nella direzione da dove era venuta. Lui si rende conto di ansimare per la paura. Là dov’è scomparsa la prima persona ne stanno spuntando altre due, tre, cinque, una massa di gente. Sbucano dal nulla, camminano in tutte le direzioni fino a riempire la spiaggia. Coppiette e singoli, bambini e anche cani sfilano davanti a lui senza vederlo. Ecco un bambino che rincorre il pallone che finisce in acqua e il ragazzo senza indugi si tuffa per prenderlo. Nessuno schianto d’acqua, nessuno che corre a prenderlo, è autunno, l’acqua è gelida, perché nessuno va a salvarlo? Si sente solo il rumore delle onde che ormai accarezzano i suoi piedi. Le scarpe sono fradice. Com’è possibile che tutte queste persone sulla spiaggia non facciano rumore? Si alza da terra e si prende subito uno spavento perché uno di loro gli corre incontro, non rallenta, lo punta e lo prende in pieno… e poi passa attraverso il suo corpo e continua la corsa come se niente fosse. “Ehi!” non sa nemmeno a chi lo sta gridando, si sente invisibile. Chi sono queste persone? Sono dei miraggi o è lui che sta sognando? Oppure sono dei fantasmi? No i fantasmi non esistono, almeno non dovrebbero esistere. Eppure gli occhi vedono qualcosa, qualcuno. Sembrano persone normali venute a passare una giornata estiva al mare. Loro indossano i costumi, hanno caldo. Lui è vestito e ha freddo. Lo incuriosisce una coppia dall’aspetto molto familiare a pochi metri di distanza. Sono seduti sulle sedie a sdraio, lui con la testa china sul petto, sta dormendo e lei guarda il mare, proprio come facevano i suoi nonni. “Nonna!” gli manca il fiato, la voce esce fuori come un latrato, è proprio lei. Si sedeva nello stesso modo a guardare lui che giocava in acqua e si allontanava sempre di più dalla riva. Si ricorda ancora che lo faceva di proposito, ma quando si accorgeva di essersi allontanato troppo alzava lo sguardo e salutava la nonna con la mano aspettando che lei ricambiasse. La nonna fantasma, come allora, alza il braccio e saluta nella direzione del mare, fa il gesto di tornare sulla riva, poi solleva la borsa frigo, la posa sulle ginocchia e tira fuori dei panini. Ah i panini con la frittata, poteva succedere di tutto, ma quando arrivava l’ora di pranzo i famosi panini alla frittata della nonna non mancavano mai. Lui s’incanta impaziente a guardare lo svolgimento della situazione, se loro sono i fantasmi, allora non c’è alcuna possibilità di vedere se stesso da bambino spuntare lì da un momento all’altro. La nonna posa i panini sul telo, prende la bottiglia d’acqua, riempie il bicchiere e lo tende in avanti. Tremando per il freddo lui segue quel gesto, fa un passo in avanti per vedere meglio e si blocca. Un piccolo fantasma si avvicina e prende il bicchiere dalle mani della nonna. “Sto sognando! Non posso essere io! È tutto un’illusione” si dice mentre non riesce a distinguere i tratti del bambino, sono sbavati, come in un disegno con l’acquarello troppo liquido. La piccola figura si muove in fretta, a scatti, si butta sul telo con la pancia in giù e acchiappa il panino. Gambe piegate nelle ginocchia, talloni in su si mettono a dondolare avanti e indietro. Lui non si metteva mai così sul telo da piccolo, non per mangiare. Chi è allora? Più guarda e più i tratti si fanno netti. Prima distingue le dita dei piedi che si muovono separatamente dal moto continuo delle gambe. “Che creatura irrequieta” pensa lui. Ora vede molto meglio, vede la lunga coda di capelli castani. L’ultima volta che lui aveva visto quella coda Amelia non era ancora malata e i suoi capelli non cadevano a ciocche dopo la chemioterapia. L’ultima volta che lui aveva visto Amelia così fu quando la vita pulsava ancora in ogni suo arto, ballava sulla sua bocca e parlava attraverso i suoi occhi. È proprio lei, come lo era allora. “Amelia” la chiama invano. Le onde si schiantano con violenza su di lui, si alza il vento. Il vento caldo con le raffiche sempre più forti soffia sulla spiaggia, soffia sui fantasmi che si dissolvono uno alla volta. Una raffica ancora e svanisce tutto, le persone, i bambini, i cani, i suoi nonni e la sua Amelia. È solo! La spiaggia è buia e inquieta, le acque gli bagnano le gambe e le lacrime bagnano il suo viso. Lo Scirocco soffia indisturbato su di lui, sull’unica anima viva nei pressi di Marina di Pescoluse. > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook Jelena Kuznecova: Pazza - così Jelena Kuznecova di 28 anni viene spesso definita dai suoi amici. Nata nella lontana Lettonia a 18 anni ha lasciato il nido e si è trasferita in Italia cominciando a inseguire in modo un po' pazzo i suoi numerosi interessi: la scrittura, la fotografia, i viaggi e altre cinquemiladuecentotre passioni che la fanno uscire fuori di testa! E allora andiamo! Se un amico ti chiede compagnia non c'è altro da dire. Tanto meglio se non si tratta di spostare il vecchio divano in garage ma di fargli compagnia ad un corso di degustazione di vini. Ho fatto cose molto più faticose per guadagnarmi da bere gratis, sarei riuscito a sopportare le chiacchiere dei corsisti che se la raccontano a vicenda sul loro vivere da eletti come certi promotori religiosi da citofono. Franco è una brava persona, a volte. Come tutti, quando arriva il proprio momento di argomentare, ha il suo cavallo di battaglia: nel suo caso si tratta di un cavallo di bottiglia. E' talmente innamorato dell’enogastronomia che, quando meno te lo aspetti, tenta di mostrarti i trucchi per la decantazione di un buon vino ed i suoi abbinamenti. Prova ad iniziarci ad arte ma ci finisce a morte. Partiti da Foggia verso il paese in cui ci attendeva la cantina, San Severo, ho ricevuto un aggiornamento full immersion sulla storia di quel posto che, come molti delle nostra terra, stava per essere dimenticato e poi, fortunatamente è stato riportato a nuova vita. Franco mi raccontava di questa cantina come di un paradiso per le belle persone: buoni vini, le bontà della nostra terra, musica, tutto ciò di cui una persone si dovrebbe nutrire e che da noi non manca, se non ce ne dimentichiamo. Arrivammo tardi. Al primo gradino abbandonai la speranza di non essere notato come un imboscato. Tutti presenti. “Vede! La cantina è tra le più belle della nostra zona…”, mi dice ad alta voce Franco per farmi vedere come un ospite d’onore agli occhi dei suoi compagni di corso. La trovavo fredda, umida e la immaginavo meglio impiegata come libreria, con un buon impianto di deumidificazione che prosciughi quella galleria di mattoni porosi, altrimenti i volumi si gonfierebbero così tanto che basterebbero quelli di Faletti a riempire tutto lo spazio. Era una lezione buia e tempestosa. Il maestro aveva occhi rossi e parlava male. A metà lezione iniziò il tour della cantina. In fondo al gruppo arrivavano pochissime parole che non mi dicevano niente. Riuscii solo a farmi un'idea della quantità e dei diversi tipi di polvere che può accumularsi sulle bottiglie a riposo. Al tourmine ci ritrovammo nella sala di partenza, nella quale ci equipaggiarono con dei bicchieri per un percorso di tre passi: un bianco, un vermouth, un passito. Capii all'ultimo sorso che quella che mi diedero era una porzione magica. Iniziai a vedere quei mattoni spugnosi nella loro vera sostanza di sofisticati, soffici strati di pan di spagna alla cannella, incannellati da una crema di calce pasticcera. La dolce parete arcuata era coperta da una brina di fresco cointreau così abbondante che sembrava mi lacrimassero gli occhi. Le parole che Franco versava durante la degustazione iniziarono ad avere un senso. Continuavo a ignorare quei vocaboli ma essi, come tanti pizzicotti, mi facevano vibrare le corde gustative dopo che il vino, sorso dopo sorso, le aveva accordate. Così, anche se non sai leggere le note t'accorgi se un accordo è lento o vivace noi, tutti d'accordo, c'eravamo accordati su ciò che le papille avevano suonato. E tutti gli altri, che al mio arrivo inquadrai come dei parrucconi che si guardano tutta la sera facendo continuamente di sì come le tartarughine magnetiche sui cruscotti, si rivelarono esseri fantastici restituiti al loro magico sottobosco dei gusti. Quando mi fu chiara la loro vera natura non mi fu difficile immaginarli come il caro vecchio Franco quando cerca di discorrere con chiunque del buon vino del suo adorato Tavoliere delle Puglie nei suoi infiniti tentativi a vuoto a (buon) rendere > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook Adelmo Monachese, nato il 13/10/1983 a Foggia, dove vive. Blogger, scrittore e autore umoristico, il suo blog personale è Ofalo.it. Fa parte del collettivo satirico Lercio.it (che ha recentemente ricevuto il premio “miglior sito” ai premi del web italiano #MIA2014) e cura una rubrica settimanale di satira sul quotidiano Libero. Nel 2010 è stato inserito da Daniele Luttazzi nel volume "Almanacco Luttazzi della nuova satira italiana" (Feltrinelli). Nel 2014 ha partecipato come concorrente al programma di Rai3 "Masterpiece". Ho deciso di scrivere la mia storia per rivelare al mondo l'ingiustizia che ho subìto, alla scienza le scoperte di cui sono venuto a conoscenza, ma soprattutto perché mi annoio. Fra le pareti di questa cella non c'è che il silenzio rotto da un disgustoso compagno che rutta di giorno e russa di notte. La mia scoperta avrebbe potuto servire all'umanità, se solo l'aveste capito. Ma sono sempre i grandi a fare le spese della mediocrità dei piccoli. Per questo ricoprirò il bianco che acceca i vostri occhi e le pareti della cella con le righe della mia storia. L'unica cosa che non vi darò sarà la formula. Evidentemente il mondo non è ancora pronto a riceverla. Comincerò dal principio. Tutti sanno che i meridionali sono pigri, pensano solo a mangiare e arrivano sempre in ritardo. Io ne so qualcosa perché il prete che doveva sposarmi, un foggiano con la passione per le mozzarelle, fu così in ritardo, il giorno delle nozze, che la promessa sposa si stufò e mi lasciò sull'altare dopo vari segni di impazienza. Se fosse arrivato puntuale io oggi sarei un uomo felice. Invece da quel giorno piombai nella più cupa disperazione. Ricordo ancora come arrivò don Franco, trafelato, raccontando di essere stato legato da una strana figura. Il nodo era roba da femmine ed era riuscito a slegarsi, raccontò. Allora facevo il chimico per una casa farmaceutica a Milano. La vista dei posti che avevo frequentato con la mia donna mi era insopportabile e chiesi il trasferimento. Per giorni attesi senza mangiare e dormire. La sola vista di una mozzarella mi dava la nausea. Mi mandarono a Foggia, nella lontana Puglia, regione di provenienza del prete. Oltre al danno la beffa, quindi. Trascorrevo le mie ore in laboratorio, lavorando per dimenticare. Intanto testavo vaccini e meditavo vendetta. Nessuno dei colleghi mi dava confidenza, ad eccezione di alcune barzellette sporche e di occhiate stupite al completo giacca e cravatta che portavo anche in laboratorio. Fu in una notte di ottobre, tutti se n'erano andati e fuori infuriava il temporale. Dalle finestre colava dell'acqua e andai a chiuderle. In mano tenevo una provetta di vaccino per la mucca pazza appena diluito in un composto di acido acetilsalicilico e in bocca avevo un Mars, perchè non avevo cenato. Mentre toccavo il vetro un lampo squartò il cielo e un tuono si accompagnò a un black-out. Quando mi svegliai mi trovai carponi con in bocca il Mars annaffiato di liquido giallo. Poco distante, giaceva la provetta vuota. Posai il Mars e mi affrettai a pulire. Il giorno dopo, Gaetano entrò con sguardo assonnato. - Madò. Disse. - Non c'ho dormito niente con 'sto temporale. Era, Gaetano, un mio grasso collega dalla battuta sempre pronta. Si era svegliato così tardi che non aveva fatto colazione, disse. A proposito di ritardi. Ed era affamato. A proposito di mangiare. Vide il Mars e lo ingoiò in un boccone. Non riuscii a dirgli niente. Ma poco dopo, Gaetano si sgonfiò sotto i miei occhi. La pancia non c'era più, i ricci erano pettinati ed era sparito anche il sudore dalle ascelle. Guardò la sua tuta, inorridì e tornò in mezz'ora cambiato e con la giacca. Rimasi a riflettere fino a sera. Doveva essere stato il composto. Si sa che il Mars fa solo ingrassare. E all'improvviso mi venne un'idea. Se tutti quegli uomini ritardatari e grassi fossero spariti, se tutti i don Franco non fossero più esistiti. Dovevo testare il composto su un campione significativo. Ricordai che il prete era originario di Rocchetta Sant'Antonio, un paese lì accanto, così chiamato perchè abbarbicato su una piccola rocca. Era perfetto. Provai tutta la notte a riottenere il dosaggio della sera prima. Dopo mille tentativi ce la feci. Il giorno seguente era domenica. Mi recai a Rocchetta. Intorno si vedeva il verde dei campi. Superai le pale eoliche e mi sembrò di respirare un'aria nuova. Avevo anche una strana fame. Parcheggiai in una piazza e attraversai la città. Trovavo le vie foderate di pietre bianche più belle che mai. Ora si poneva il problema di far assaggiare il composto agli abitanti. Come avrei fatto? La chiesa mi venne in aiuto. Un manifesto sul portone avvisava che quella sera ci sarebbe stata una festa al castello, con tanto di fuochi d'artificio. Il castello stava sulla parte più alta della città. Vicino aveva una pizzeria, l'unica del paese. Assecondando la mia fame salii per mangiare. La pizza era buonissima e volli fare i complimenti al cuoco. Mi avrebbe preso come apprendista per quella sera? C'era tanto da fare e il pizzaiolo assentì. Avendo accesso alla cucina sarei riuscito a versare il contenuto delle provette in ogni caraffa. All'interno della giacca ne portavo ottantaquattro. La sera era tutta un scintillare di chiasso e di luci. Dalla rocca la città era illuminata d'arancio sotto la pelle scura della notte. Infine vennero i fuochi. Luci a forma di freccia scendevano a cascata dal castello. Era uno spettacolo bellissimo. E la gente beveva, beveva. Mi immaginai su un punto in alto, nell'Universo, ad osservare gli scoppi di fuoco sotto il grappolo di case. E quando lo spettacolo finì, le persone erano cambiate. Indubitabile. I loro modi erano diversi. Ma anch'io mi sentivo diverso. La mia fame era aumentata, dalla bocca mi uscivano risate grasse e avevo preso a sudare. Tornai in cucina a prendere un trancio di pizza ma mentre svuotavo l'ultima provetta il pizzaiolo mi scoprì e disse: - Che fai? Non c'era traccia di dialetto nella sua voce. Avrei voluto baciarlo ma lui mi strinse e le provette vuote, ancora nella giacca, scoppiarono fra le mie braccia. Ero coperto di pezzi di vetro e sanguinavo. Mi portarono in ospedale e poi qui, in questa stanza bianca. Ho ritrovato la mia compostezza. Non c'è più traccia di sudore sulla pelle e anche la fame è passata. L'effetto su di me era arrivato lentamente per la scarsa quantità ingerita nel Mars. Ora che sarà dei miei progetti scientifici? Non sono riuscito a spiegarvi che è solo una questione di dosaggio. L'unica cosa che non ho testato è l'effetto sui ritardi. Vi prego, se a me non è concesso, qualcuno di voi deve farlo. Potreste salvare milioni di uomini dall'infelicità. Nessuno attenderà più invano di sposarsi. Contravvengo quindi al mio proposito e ve la scrivo. Ecco. La formula è: > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook Federica Lauto, nasce il 16 maggio 1984 a Monfalcone (Gorizia). Ha studiato clarinetto, chitarra, violoncello e canto. Laureata nel 2006 in Scienze psicologiche della Personalità e delle relazioni interpersonali, e nel 2009 in Psicologia Clinica Dinamica. Terminerà alla fine del 2014 una scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica fenomenologica. Oltre a racconti sparsi, ha scritto due raccolte di racconti (inedite) e ha partecipato alla trasmissione televisiva Masterpiece. |
#MasterPugliaMini-Serie di 4 racconti. ArchivioRacconti
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