![]() A circa dieci kilometri da Ostuni si trova Bari. O meglio un pezzo di Bari. O, per essere ancora più precisi, Rosamarina. Rosamarina è un villaggio turistico sorto sulla costa adriatica durante gli anni ’70 che ha subito un destino, dal punto di vista civico, atroce. Fondato da un apolide, Rosamarina nacque come villaggio turistico per soli stranieri – tedeschi, inglesi, svedesi, insomma per tutti quei popoli che oggi prendiamo a spietato metro di paragone per misurare la nostra qualità della vita – ma ora, a parte qualche sparuta minoranza di altre città, è diventato il ritrovo estivo dei baresi. Anzi, dei baresi della Bari-bene. Tanto che sulla sempiterna “Gazzetta del Mezzogiorno” si è soliti riferirsi a Rosamarina come il villaggio dei vip. Dove e quali siano esattamente questi vip nessuno lo sa. Ma ai baresi, questo invece si sa, piace cantarsela e suonarsela da soli. E dunque. A circa dieci kilometri da Ostuni si trova Rosamarina e, conseguentemente, un po’ di Bari. Ora, dovete sapere che a Bari esistono due postulati eterni, un paio di mantra che ripetiamo in continuazione, più volte al giorno, più giorni alla settimana. Uno: a Bari non c’è mai niente da fare. Due: Bari è bella, il problema sono i baresi. Per la proprietà transitiva queste due verità universali, a luglio e agosto, fanno i bagagli e si trasferiscono con i loro sostenitori a Rosamarina. E quindi. Uno: a Rosamarina non c’è mai niente da fare. Due: Rosamarina è bella, il problema sono i baresi (dire i “rosamarinesi” sarebbe oggettivamente troppo). Così, quando arriva sera e il mare non è più un’opzione per affogare la noia, Ostuni – a circa dieci kilometri di distanza – si staglia come borgo ove trovare un possibile rifugio, un’auspicata novità, una dolcissima salvezza. Ove trovare, insomma, qualcosa da fare. Ostuni, comunemente nota come la città bianca per via del colore delle sue case arroccate l’una sull’altra, per me è invece sempre stata la città arancione. Infatti, andandoci sempre la sera, la vedo sempre trasformata dalle illuminazioni pubbliche che mutano la calce bianca dei suoi muri in un arancio slavato. Il che mi spinge ogni volta a domandarmi perché il comune non compri dei neon bianchi invece di quelle lampadine che oltretutto sembrano pure ad alto consumo energetico: ma avranno le loro buone ragioni. Comunque sia, di giorno bianca, di sera arancione, Ostuni rimane una bella città, almeno d’estate che è l’unico momento dell’anno di cui io ne abbia esperienza. Negli altri mesi, non so. Ma d’estate Ostuni ha qualcosa di speciale, qualcosa che non riesco a capire nonostante siano ventisei anni che la sera, d’estate, mi reco laggiù, o meglio lassù, dato che Ostuni è pur sempre in collina: duecentodiciotto metri sul livello del mare, secondo wikipedia, dieci minuti di cammino, secondo i miei piedi, dopo che lascio l’auto dalle parti del parcheggio degli autobus (non dentro le strisce blu, ma da qualche altra parte, in vacanza resto comunque un barese). Dieci minuti a meno di non fermarsi da “Impasto Napoletano” (la migliore pizzeria napoletana non a Napoli che abbia provato), dieci minuti e via su Corso Mazzini, direzione centro storico poiché la sera, non importa dove ci si trovi, si va in centro. Cammini sul viale alberato, senti qualche tedesco parlare, vedi la pizzeria rustica con i polli al girarrosto in bella mostra, butti un occhio alla Bottega del Libro perché, nonostante Amazon e megastore, le piccole librerie conservano sempre un loro fascino, e sfoci nella piazza principale. Santo Oronzo c’è sempre e ti guarda dall’alto. Sulla sinistra la salita che conduce alla cattedrale, fatta migliaia di volte per vedere migliaia di volte il panorama dal belvedere, metti mai che qualcosa è cambiato durante l’inverno. Più in là il “Gatto Rosso”, sempre sulla sinistra, e con quel colore non poteva essere altrimenti: coperto assente e puccia ben riempita, e ti scende una lacrima nello scoprire che anche quest’anno ha resistito alle sirene del turbocapitalismo. E poi la “Cremeria alla Scala” e la sua coda. “Ciccinedda Bistrot” e ti sembra di assistere all’incarnazione del sogno americano: da bancherella di angurie a fruit bar alla moda. I mille localetti in cui non entri mai perché sei sempre stato o troppo giovane o troppo vecchio. La folla di gente vestita malissimo ma d’estate, diciamolo pure, seguire la moda è roba da professionisti. La bancherella che, con 35 gradi all’ombra e da 35 anni, vende la cupeta calda presentandola sempre come la novità del momento. I vigili urbani che non si capisce cosa fanno. Gli artisti di strada che impressionano i bambini. La zingara tarocca che fa i tarocchi. E la gente che ci va. E, in mezzo a tutto questo spettacolo di vita quotidiana, ci sei pure tu. Sempre. Da anni. Tanto che, a Ferragosto, sapresti muoverti nella Sagra degli antichi mestieri anche con una benda sugli occhi. Tanto che i menu, nei vari locali, manco li guardi perché li sai a memoria. Tanto che cammini senza prestare attenzione alla strada, perché ormai i piedi hanno già capito tutto. E allora capisci cos’ha Ostuni di speciale, almeno d’estate. È una città che ti accoglie da straniero e ti fa sentire in vacanza a casa o, meglio, a casa in vacanza, che è bellissimo. Così, tra fine luglio e inizio agosto, mentre sei seduto sui gradini della piazza, mentre stai aspettando che arrivino gli altri, mente ti guardi attorno per capire dove è più facile trovare subito posto, ecco, in un momento qualunque di questi, senza accorgertene, senza volerlo, ti sentirai così a casa che ti rivolgerai all’amico che ti sta a fianco e affermerai sconsolato: oh a Ostuni non c’è mai niente da fare. ![]() RENATO NICASSIO ilblogstruggentediunformidabilegenio.com #renatonicassio #unmoderatodelirio #inchiostrodipuglia #vivilapuglia #leggereèrespirare > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook
1 Comment
3/31/2014 11:27:40 pm
Equiibrato e piacevole questo racconto, com'è piacevole il dolce far niente in un "posto dell'anima" che continua ad attrarci, irresistibilmente, pur nella consapevolezza che lì, anche lì, non c'è niente da fare.
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