1 “U' giò uè fà app'ccià?”. La voce e il botto sul finestrino mi arrivano talmente all'improvviso da farmi saltare sul sedile. Pure la sigaretta un altro po' mi vola dalla bocca. Al semaforo di via Caldarola staranno quindici macchine incolonnate. Più la mia Seicento. Che poi non è mia. E' di mia madre. Ma a quella mica glie l'ho detto che la prendevo. Figurati. Da quando ho avuto il tamponamento quest'estate sulla complanare, è diventata petulante. Lo fa per farmi sentire in colpa, io lo so. Ma tanto mò ho imparato. Aspetto le sette, la faccio cenare, poi le accendo Radio Maria e non appena si addormenta, zitto zitto me ne esco. Perciò quando ho sentito quella voce mi sono preso uno spavento. Mica ché poteva essere lei che mi sgamava a fumare nella sua macchina. No, quella, poveretta, sta allettata. Non si può manco muovere per andare al bagno. Fortuna che ha me che la posso aiutare. Però lo stesso a sentire sbattere sul finestrino in quel modo, mi sono preso paura. Mi volto appena per vedere con la coda dell'occhio l'ombra che mi si è affiancata a chi appartiene. E' quasi buio, ma sotto il giallo dei lampioni vedo comunque due figure agitarsi su uno scooter. Che cazzo vogliono? Mi stanno attaccati. Mi aggiusto il cappellino a visiera sulla testa pelata e faccio finta di niente. “Auè, capellon'. E c' si 'nghiummat?”, sento gridare più forte. Guardo il semaforo. Ancora rosso. Una leggera pioggerellina sta iniziando a coprire il parabrezza. Accendo i tergicristalli. Ma quelli insistono. "Oh, maccaron', a te stong a disce...". Quello seduto dietro si continua a sganasciare dalle risate e sbatte pacche sulle spalle di quello che è alla guida. Poi un'esplosione sorda e una pioggia di vetri mi scoppia addosso. Il semaforo è diventato verde. Tutti ripartono. Quelli schiamazzano. Io sento il cuore che mi schizza in gola. Madò la macchina di mamma. Scendo. 2 “Và, fusce tr'mon'... Pass' che iè giall'”. Urlo tirando le maniche del giubbotto di Balotè mentre si mette a fare lo slalom fra le macchine che si vanno fermando al semaforo oramai rosso. Ma quello per tutta risposta inchioda, al posto di accelerare. Nella frenata gli frano addosso. Gli tiro una calata sulla nuca. “L' murt d' mamt'. Mo' ma da fà cadè”. E scoppiamo a ridere con le lacrime. E' da stamattina che stiamo a ridere. Mò, oggi stiamo stonati di brutto. Il fratello di Balotelli sta accavallato, se la fa con quelli di San Pasquale e tiene certa roba che te ne devi scappare. L'altro giorno a Japigia pure gli olandesi stavano da lui a comprala. Oh, gli olandesi, non so se mi spiego. Balotelli si chiama Nicola in realtà ma a Bari lo conoscono tutti come Balotè perché c'ha la pelle talmente scura che pare un negro. E poi è malamente, proprio come a Balotelli. “Oh, aspit. Di folla vai?'”mi fa. “Famm' app'ccià na sigaretta”. Si fruga nelle tasche. Niente. “A te 'u so dat'?”, fa sganasciandosi dalla ridarella dopo due secondi che mi fissa. C'ha gli occhi rossi rossi che pure se è sera pare che s'appicciano. Non ce la faccio a vederlo combinato così. Gli esplodo a ridere in faccia pure io. “Eh, rid 'mbacc' o' cazz!”, mi fa lui con le lacrime. “Uè dà l'accendino?”, prova a dirmi serio prima di scattare con la testa in avanti fermandosi solo a due centimetri dalla mia fronte “Mò ti 'a dà nu tuzz'”. Ricominciamo a spintonarci che un altro po' ci cappottiamo col motorino. “Oh, e non u' teng'”. Mi giro. Accanto a noi c'è una Seicento color merda. Il cristiano dentro sta fumando. “Auè”faccio a Balotelli, “Add’mann' a cud', sta a fum u vì?”. Balotelli si gira e bussa al vetro della macchina. “U' giò uè fà app'ccià'?”. Quello fa come se non ci vede. “Balotè, surd iè” faccio a sfottere, nell'orecchio a Nicola. Quello manco a dirlo subito si appiccia. “Auè, capellon' e c' si 'nghiummat?”, fa subito facendomi quasi pisciare sotto dalle risate. Quello dentro s'aggiusta il cappello e ci caca a spruzzo. “Oh, maccaron', a te stog a disc'...”. Balotelli già con la faccia impicciosa che non è più tanto da scherzare s'è abbassato per guardarlo bene dentro la macchina. Poi tira all'improvviso un cazzotto al vetro mandandolo in frantumi. Sento l'esplosione del finestrino che scoppia. Mudù, penso mentre la scossa di adrenalina mi arriva di botto dietro alle orecchie. Il cristiano col cappellino esce dalla macchina. 3 Mi vien da piangere. Sento i vetri in frantumi sotto le scarpe e l'aria fresca avvolgermi le narici. C'è odore di frittura che viene dai condomini vicini. Madò, e mò chi glielo deve andare a dire. Guardo il buco nel vetro e mi prendo la faccia tra le mani. Che abbiamo pure litigato stasera che quella è capa tosta e sta sempre a dire che a quarantadue anni mi vuol vedere sistemato, che mi devo trovare una brava femmina, un lavoro. See, che altro? Ho detto io, e se me ne vado io a te chi ti deve venire a pulire il sedere? Tua figlia che non t'ha mai acchiamendato in faccia?. Non l'avessi mai detto. S'è offesa e ha cominciato a dire che io a quella manco la devo nominare che tiene i guai suoi. Lei tiene i guai suoi?, ho detto. E i guai miei, mà? I guai miei chi cazzo se li deve piangere? Poi, per non far vedere che mi stavano a uscire le lacrime, ho preso e sono sceso. Che io poi una femmina l'avevo pure trovata. Carmela si chiamava. Faceva la barista al bar Iorio, quello pieno di rimmati che giocano alle slot. Ma mamma non tanto la poteva vedere. Diceva che non era seria a lavorare fino alla notte tarda, sempre in mezzo ai maschi. Che qualcosa prima o poi vedevo se non usciva fuori. Oh, mica glielo avevo detto a mamma che aveva avuto ragione. Che l'avevo sgamataun pomeriggio a fare la scocchiata con quell'avanzo di galera di Mincuccio. Non l'avevo portata più a casa e lei non m'aveva chiesto più niente. Così era finita la storia con Carmela. Ma mò... 'sti due trimoni, la macchina di mamma, vedi un poco alla madonna, vedi. 4 “Balotè, l' murt tu. C' cazz' si c'mbnat?” Faccio subito veleno pensando a tutta la roba che teniamo addosso. “Avessa chiamà la madama mò, cud”. Stavamo tanto belli e in grazia di dio oggi. Mocca a Balotelli e a quanto jè n'rvus. E l'ho fatto pure chiavare a bestia stamattina. Che la Rossa stava come alla cagna. Gnuc gnuc gnuc. Mò, uagliò che servizio che c'ha fatto. Forse che a lui l'aveva fatto fare subito e per quello gli era salita un poco la nervatura. Cud' fasce u' uà uà ma la ciola non è che la tiene grossa come a quella mia. Che a me la Rossa me l'ha detto che pure che lui è il boss, a chiavare sono meglio io. Mica però che a Balotelli glielo sono andato a dire. See. Quello capace che la prendeva alla Rossa e la sfraganava di mazzate, sana sana. E dopo pure a me. Ma mò, dico io occorreva a fà tutt' stu casin'?. Co tutta 'sta cazzo di roba addosso che c'abbiamo. N'cul alla razza so'! “Balotè. Sciamanin'. Fusce. Sint' a mè. Lassa perd' a cud. Mò appena diventa verde, piglia e scappiamo!” 5 “Uagnù e mò, come la mettiamo col finestrino?” Quello seduto davanti è alto e c'ha la faccia cattiva. Forse manco diciott'anni tiene. Ma questi sono addestrati come le bestie. C'ha la testa appuntita come quella di un dobermann, tutta rasata ai lati e la cresta come si usa mo'. Sopra due occhialoni da sole enormi bianchi. Sta fuori di brutto, da qua si vede. Non appena mi alluma si gonfia come un pavone. Sta per aprire quella fogna di bocca ma non glie ne do il tempo. La spranga che ho dietro il sedile l'ho presa prima di scendere, nascosta dietro l'avambraccio. Gliela cavo nell'occhio, così, dritto per dritto, e mò vediamo chi cazzo è il cattivo qua dentro. Ecco a che cosa serve mà, che ogni volta che viaggiavamo mi dovevi fare una testa così. E a che ti serve st'arnese mò? Vedi se ti dovesse fermare la polizia e te la trova nella macchina. Nella mia macchina. Ecco mà. A questo serve. Mò l'hai capito? E intanto sento la mia voce rimbombarmi nel petto e nelle tempie. “E mò? E mò? E mòòòò? T''è passata la voglia eh? T'è passaaata??”, glielo grido in testa, con tutto il fiato che c'ho in corpo. “Che la macchina non è mia... è di mia madre, si capit? E' di mia maaadreeee”.Quello dietro intanto con la coda dell'occhio l'ho visto schizzare via dal motorino e dalla mia vita come una zoccola di fogna e sparire sotto la pioggia. E intanto caccio la spranga da dentro l'occhio e gliela riconficco fino in fondo. Una, due, tre, cento volte. Sento la materia vischiosa che mi imbratta la mano, il polso, un unguento caldo come maionese che mi schizza in faccia. Ma io mò si che mi sento finalmente bene. Attorno gira tutto, le urla, le macchine che passano, e io sono un martello pneumatico, un fottuto, cazzutissimo stramaledettissimo martello compressore che annienta e spappola. Finché non sento il corpo di quello accartocciarsi come una marionetta floscia ai miei piedi e il polso farmi male. Butto la spranga per terra e m'infilo in macchina, il semaforo è rosso. Mille occhi mi scrutano, bocche spalancate, mani sulla labbra. Accelero e mi butto a capofitto nel flusso di macchine che attraversano la via, tra i clacson impazziti e le urla e le frenate. Ma io accelero e finalmente non sento più niente, non vedo più niente. Solo i bagliori delle luci che si accendono sulla sera che viene, quelle di un’indimenticabile serata che non tornerà mai più. RAFFAELLO FERRANTE raffaelloferrante.wordpress.com #raffaelloferrante #orecchiettechristmasstori #inchiostrodipuglia #vivilapuglia #leggereèrespirare > Per non perdere nessuno dei Racconti d'Autore di Inchiostro di Puglia clicca "Mi Piace" sulla nostra Pagina Facebook
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